I forti mutamenti sociali, dovuti all’industrializzazione, alla fine del contratto di mezzadria, ed al conseguente abbandono delle campagne verso l’inurbamento, hanno portato alla morte delle antiche tradizioni contadine, che per sopravvivere a queste inesorabili mutazioni sono state trapiantate all’interno delle mura cittadine.
Retaggio di usanze in alcuni casi riproposte come si faceva in campagna determinando un operazione di archeologia del teatro e in altri casi, la tradizione si è adattata alla nuova situazione, trasformandosi e perciò sopravvivendo in questa nuova veste.
Questo è il caso di Montepulciano e del suo Bruscello, con una differenza che rende questa tradizione ancor più credibile, il fatto che il Bruscello Poliziano, è emigrato dalle campagne della Valdichiana al Sagrato del Duomo nel 1939 e cioè un paio di decenni prima che si determinassero le condizioni.
Ciò testimonia una tradizione che autonomamente si modifica, adattandosi anzi addirittura prefigurando nuovi scenari, si trasforma, perciò vive, confermando una vivacità e una vitalità che derivano e sono presenti nell’animo del popolo di Montepulciano e della Valdichiana.
I luoghi dove è nato e si è tramandato il Bruscello, sono la Val d’ Orcia e la Valdichiana dove la rude parlata aretina, si stempera nelle più dolci inflessioni della terra senese.
Quest’area è stata per secoli il crogiolo di molte tradizioni e contributi culturali che hanno arricchito le vicende storiche toscane.
Bruscello può sembrare ai neofiti parola astrusa ed oscura, tuttavia agli abitanti della Valdichiana e della Val d’Orcia suona familiare, perché è nata qui, sta per arboscello e deriva dal latino “arbor”, che vuol dire albero.
Bruscello è quella forma di teatro popolare, rappresentato per secoli da compagnie itineranti di contadini, che innalzando un ramoscello e spostandosi di podere in podere, sulle piazze, negli incroci e davanti alle Chiese all’uscita della Santa Messa, col solo scopo della questua, per una cena di tutta la Compagnia.
Bruscello è anche un momento in cui si compendiano tutte le forme tradizionali campagnole, infatti vi ritroviamo la Vecchia, la Befanata, il Maggio, il Mogliazzo, il Contrasto, gli Stornelli.
La discendenza storica del Bruscello, può riferirsi alla sacra rappresentazione di Jacopone da Todi, oppure ai Madrigali di Corte, entrambe forme poetico letterarie del XIII secolo, ma di ciò non esistono prove, perciò questa rimane un’ipotesi, seguendo la quale, è ragionevole supporre che gli estrosi anonimi cantori del bruscello, non curandosi della metrica, unirono musica e versi, modificando così gli schemi ed i canoni.
Sicuramente la nascita del Bruscello é stata condizionata e connotata dagli usi e costumi delle campagne, dal modo di vivere, dalle abitudini derivate dai lavori dei campi, dalla celebrazione delle annuali ricorrenze religiose paesane, da canti, racconti, stornelli, rappresentazioni rituali varie che scandivano il ritmo di una vita dura e travagliata.
Tuttavia, proprio l’aspra e tormentata vita ha portato i contadini di quei tempi a preferire argomenti dove maggiore era la tensione drammatica, così gli autori si orientarono su soggetti epici o tragici, dove il pathos toccasse il fondo dell’animo e della fantasia popolare.
Ma questa non era soltanto una finzione scenica, perché i primi ad essere coinvolti da questa tensione drammatica erano e sono proprio i bruscellanti, interpreti e spettatori essi stessi del dramma o della tragedia che essi rappresentavano.
Infatti chi cantava le gesta della Pia de’ Tolomei o di Genoveffa di Brabante, o di Giuseppe ebreo era popolo interprete per popolo spettatore, e gli uni erano anche spettatori, e gli altri anche interpreti.
Le storie che venivano narrate erano quelle in ottava rima dell’epica cavalleresca dei Reali di Francia, e del ciclo medioevale di Genoveffa, della Pia de’ Tolomei, del Ghino di Tacco, del Guerrin Meschino ma anche la vita dei Santi o le storie della Bibbia.
Il racconto in rima ed in canti era scarno, asciutto, essenziale, nulla si concedeva al superfluo, pochi personaggi, con caratteristiche semplici e ben definite, le situazioni sceniche semplificate al massimo, amore gelosia tradimento, inganno e vendetta, morte ingiustizia e gloria.
Lo stesso testo era ridotto all’osso e le scene erano poche, dense di tensione e di sofferenza.
Con poveri mezzi scenici, il cuore dei contadini, pronto a ricevere i messaggi provenienti dall’ improvvisato palcoscenico, immaginava un mondo dove la giustizia trionfava sulla violenza, e dove l’inganno era sconfitto dalla verità.
I personaggi che tradizionalmente popolavano il mondo campagnolo nel secolo XIX e fino al termine del contratto di mezzadria erano il ‘Medicastro’ che curando con i medesimi unguenti ed impiastri giovenche e contadini, girovagava di podere in podere, al pari dello ‘stregone’, che toglieva il malocchio ad animali piante ed uomini.
La ‘mezzana’, una sorta di moderna mediatrice per agenzie matrimoniali, che accorreva nel caso di una ragazza “rimasta in casa” che per ciò rischiava di rimanere zitella, o per facilitare il compito di un giovanotto a corto di argomenti adatti al corteggiamento.
Il personaggio più amato ed atteso nelle grandi e fumose cucine di campagna, specialmente per Carnevale, ma anche in Quaresima era il Cantastorie, uomo estroso, memoria storica della tradizione trasmessa oralmente, buon narratore, animatore di veglie, recitava poemi cavallereschi, o rime da lui composte con uguale impegno, in occasione di sposalizi, feste campestri o in occasioni particolari, come il pranzo per la fine della trebbiatura, o per la sfogliatura del granturco.
La musica era costituita da motivi tradizionali che ritroviamo nel Bruscello attuale, nelle musiche dello Storico e del Cantastorie.
Conosceva a memoria tutte le musiche ed i testi che venivano tramandati oralmente.
Personaggio simpatico, certamente non astemio, attirava su di sè l’attenzione di tutto l’uditorio, dal Capoccia alla Massaia dal figlio maggiore alla sua sposa , dal nonno solitamente appostato nel cantone del focolare, al nipotino.
Intorno a questo personaggio, si raccoglievano i bruscellanti ; con l’occasione egli prendeva il nome di Vecchio del Bruscello, insieme a lui i bruscellanti sceglievano il testo, il Cantastorie assegnava le parti, compresa quella femminile e cominciavano le prove, in una stalla o in un granaio.
Nel periodo di Carnevale, il Bruscello iniziava la sua peregrinazione di podere in podere.
La questua che seguiva la rappresentazione era destinata ad una cena di tutta la Compagnia.
I Bruscelli duravano circa mezz’ora, i costumi venivano improvvisati dagli stessi bruscellanti : spade di legno, corazze di latta, cimieri di bambagia o di stoppa, scudi di cartone, giubbe rovesciate e pantaloni stretti in fondo, questi erano i costumi del Bruscello, la voce ora forte, ora stridente, l’intonazione grave, affrettata o solenne servivano a sottolineare l’intensità del sentimento o la drammaticità dell’azione.
I personaggi, sia maschili che femminili, venivano interpretati da uomini, la musica veniva suonata dalla fisarmonica con accompagnamento di tamburi o cembali, violini chitarre e flauti.
I Bruscelli venivano rappresentati, preferibilmente, il sabato o la domenica ; i bruscellanti arrivavano al podere in corteo ; in testa il Vecchio del Bruscello con l’arboscello in mano, dietro la musica e poi i bruscellanti che si disponevano a semicerchio ed iniziavano la recita cantando in coro l’invocazione alla Massaia che offrisse uova farina e vino per la grande mangiata.
La famiglia che ospitava i bruscellanti, di solito offriva o la cena o uno spuntino ; gli spettatori, contadini dei poderi vicini, che avevano seguito i bruscellanti, portavano in dono uova, formaggio, salumi e fiaschi di vino, che venivano consumati in allegria fra canti e suoni, battute frizzanti e sberleffi.
Il Bruscello veniva rappresentato nelle stalle o nei fienili, era molto apprezzato dagli spettatori, che non perdevano una battuta della recita, parteggiando per questo o quel personaggio : di solito il buono o colui che aveva subìto il torto o l’ingiustizia, e finivano per imparare a memoria i testi ripetutamente ascoltati.
Il Bruscello è così giunto fino a noi mutato nella forma per la necessità di allestire uno spettacolo confacente ai gusti del popolo, ed ai suoi profondi cambiamenti.
E’ un esempio di teatro popolare che vive e si trasforma, ma che rimane legato ad una tradizione che non è morta con la scomparsa del mondo contadino, ma che è sopravvissuta al suo disfacimento perché ancora prima che questo avvenisse si era già evoluta e trasformata, ed oggi dopo oltre 60 anni è sempre viva e fa rivivere sul sagrato del Duomo i suoi leggendari personaggi che l’animo popolare ha reso immortali.
Mario Morganti
Il Bruscello Poliziano e la tradizione contadina
Il Bruscello, è una rappresentazione a volte epico-drammatica , a volte farsesca di episodi della vita di tutti giorni, creati dalla fantasia popolare o realmente accaduti ; della storia o della letteratura.
Che deriva principalmente da una cantilena atonica conosciuta in tutta la Toscana ed in varie forme in tutta l’Italia Centrale, con varianti sedimentate in numerosi decenni di interpretazioni personalizzate dalla fantasia dei Cantastorie.
La tradizione del Bruscello, affonda le proprie radici, probabilmente, nella ritualità agreste dei nostri progenitori etruschi e romani, certamente nel solco della tradizione degli antichi cantari medioevali, dei giullari dei menestrelli e dei madrigalisti.
Questa tradizione di teatro popolare, che forse trae origine proprio in Valdichiana, é presente in Toscana, in varie forme, tutte collegate fra loro per l’originale comune derivazione.
Abbiamo il Bruscello presente in tutto il territorio, presumibilmente già dal XV e XVI secolo.
Oltre che a Montepulciano, le tradizioni : del Bruscello, del Sega la Vecchia, delle Befanate e di altre forme di teatro tradizionale sono presenti anche alle pendici del Monte Cetona, nelle due località di Piazze e Palazzone, dove anche se in maniera discontinua, si tramanda, un Bruscello Anche in provincia di Lucca e nell’appennino Tosco-Emiliano, oltre che sull’Amiata, sono presenti forme di teatro popolare tradizionale quali il Bruscello, la Zingaresca, ed il Maggio.
ed in qualche misura si sono anche evolute, forse più il Bruscello che il Maggio.
In molte località, si tende a recitare secondo i vecchi canovacci, senza tenere presente, che fino a quando le campagne erano popolate, questa tradizione, nata e cresciuta nel mondo contadino, aveva avuto modo di evolversi e si sarà certo evoluta.
Voler continuare a recitare il Bruscello o il Maggio come una volta, senza tener conto della fine del mondo contadino, come se il tempo si fosse fermato, costituisce una forma rievocativa di una tradizione ormai morta insieme a quel mondo nel quale era nata.
Ci sembra insomma un Bruscello surgelato, una sorta di operazione di “archeologia teatrale”, che ogni tanto viene proposta e poi ritorna fatalmente nell’oblio.
Ne sono la prova i due Bruscelli : di San Donato in poggio prima e di Colle Val d’Elsa poi, che rinati, anche grazie all’assistenza, la fornitura di testi, musiche e costumi da parte della Compagnia Popolare del Bruscello di Montepulciano, e di Don Marcello Del Balio in poco più di un decennio sono risorti, e di nuovo morti.
Il Bruscello, che a suo tempo aveva ispirato la vena artistica degli Accademici de’ Rozzi di Siena, doveva essere ben presente nella vita quotidiana dei poliziani, se una studiosa locale di fino ‘800, Knisella Farsetti, ne studiò gli aspetti rituali ed i fenomeni artistici ed antropologici.
Queste ricerche furono pubblicate in edizioni ancor oggi molto ricercate e di non facile reperimento, ed ancora oggi rappresentano un punto di partenza per studiosi ed appassionati desiderosi di ampliare le proprie conoscenze su un avvenimento culturale e sociale di questa importanza.
Dunque nel secolo XIX a Montepulciano i giovani si divertivano, specialmente durante il Carnevale e la quaresima, con la Befanata, il Sega la Vecchia, ed il Bruscello.
Quest’abitudine, proseguì in forma discontinua, fino agli inizi del ‘900 ; ed i bruscellanti si radunavano per “bruscellare” agli incroci delle vie, davanti alle Chiese, ed in genere dove si raccoglieva la gente.
Furono proprio i Bruscellanti che, già da anni peregrinavano durante il Carnevale di podere in podere che nel 1924 portarono in scena nel Teatro R.
Nobili di Montepulciano un S.
Eustachio, e nel 1925 replicarono con “Nerone”, erano una trentina in tutto, e dopo aver recitato con successo a Pienza ed a Montefollonico, decisero di portare il Bruscello in piazza.
Fu messa in piedi l’organizzazione, fu scritto il primo libretto, si raccolsero 177 bruscellanti e fu la Pia de’Tolomei del 1939.
Il termine Bruscello, deriva dalla trasformazione popolare della parola Arboscello, poi broscello e Simbolici e rituali sono i gesti dei bruscellanti, che con la loro gestualità spontanea, esprimono i loro sentimenti di odio, d’amore, d’ira, di stupore, tutti sentimenti elementari, che la voce sottolinea divenendo, ora grave ora stridula, ora solenne ora ammiccante.
Il Bruscello Poliziano, giunto sul Sagrato della Cattedrale, in Piazza Grande, ha assunto le caratteristiche di cui necessità uno spettacolo moderno per venire apprezzato dagli spettatori.
Negli anni cinquanta, ai contadini si sostituiscono a poco a poco nel ruolo di attori e di spettatori gli artigiani, commercianti, studenti, impiegati, coltivatori diretti etc.
Essi “fanno” il Bruscello, innanzitutto per loro stessi e le proprie famiglie, che tradizionalmente costituivano l’insieme degli spettatori (popolo attore e popolo spettatore) ma anche per il”pubblico” in genere, formato dai turisti e dagli abitanti dei paesi vicini.
Dunque entrano in campo, le scenografie, le luci, i costumi ed un vero pubblico, al quale i bruscellanti si rivolgono, e che vogliono divertire e coinvolgere.
Ecco che la tradizione contadina si trasforma in tradizione cittadina, ecco che lo spettacolo si distacca sempre di più dalla semplice narrazione dei bruscelli arcaici, il canovaccio è sempre uguale, ma il racconto viene fatto da due figure tradizionali, quali lo Storico che introduce l’argomento all’inizio dei tre atti, ed il Cantastorie, una figura inserita soltanto dal 1945, introduce l’argomento all’inizio di ogni scena.
La figura del Cantastorie è un personaggio di grande spessore nell’economia della rappresentazione, anche se si limita ad introdurre le scene, perché nel Bruscello dell’antica tradizione contadina, rappresentava il porta fronda, che introduceva la narrazione dando il via al canto di presentazione.
Si può dire che nella rappresentazione odierna lo Storico ed il Cantastorie si dividono il compito che nel Bruscello contadino svolgeva da solo il Vecchio del Bruscello.
Mario Morganti