Città di Montepulciano
Piazza grande
Agosto 2011
La
Compagnia Popolare del Bruscello di MontepulcianopresentaZELINDO IL GARIBALDINO
Compagnia Popolare del Bruscello di MontepulcianopresentaZELINDO IL GARIBALDINO
dramma popolare in musica sotto forma
di Bruscello Poliziano
BAMBINI, DAME, CAVALIERI, POPOLANI, BALLERINI, STORNELLATORI, GUARDIE DI FIRENZE
Libretto di Raffaele Giannetti
Musiche di Francesco Traversi
Direzione Artistica, Scenografia e Regia Franco Romani
Esergo destinato alla stampa:“L’ora ch’io dissi del Risorgimento,
l’ora ch’io penso a Massimo d’Azeglio
adolescente, a I miei ricordi e sento
d’essere nato troppo tardi… Meglio
vivere al sacro tempo del risveglio,
che al tempo nostro mite e sonnolento!”
(G. Gozzano, Torino, da I colloqui).
l’ora ch’io penso a Massimo d’Azeglio
adolescente, a I miei ricordi e sento
d’essere nato troppo tardi… Meglio
vivere al sacro tempo del risveglio,
che al tempo nostro mite e sonnolento!”
(G. Gozzano, Torino, da I colloqui).
PREMESSA
Ringrazio, innanzitutto, chi mi ha voluto librettista del Bruscello per l’onore che mi fa e per la possibilità che mi offre di scrivere in rima. Finora, in mancanza di quest’epica popolare, andavo inventando anonimi più o meno probabili, a cui affidavo i miei divertimenti metrici. Ma niente è più ripagante che inventare rime secondo una mentalità che “pensa epico”, che parla inventando proverbi, che detta precetti per figli e nipoti; una mentalità, insomma, che pensa sempre in rima: un mondo disegnato con il carboncino, non con l’acquerello. Qual è, dunque, la principale sostanza di queste rime? È la meraviglia di uno sguardo ingenuo ma forte, primitivo ma potente, giusto oltre ogni sottigliezza, severo, solenne; lo sguardo, non di rado arguto e irriverente, di una società contadina: “la maraviglia ch’al cor s’appiglia”, come dice l’anonimo. È il gusto dell’affabulazione, che ritroviamo intero nelle veglie e nelle novelle. Ho tentato, perciò, non solo di raccontarvi la storia di Zelindo, ma di farvi partecipi di questo sguardo, che non è puro racconto, ma sentimento e, come si addice a questo mondo, sentenza.
La reintroduzione, in alcuni luoghi, dell’ottava rima tradizionale (o comunque dell’endecasillabo, che è il verso dei grandi poemi epici e della Commedia dantesca), risponde direttamente alla volontà di sottolineare la psicologia di chi narra, ovvero la prospettiva da cui si guarda alle vicende della storia (ma l’ottonario, popolare e goliardico, è rimasto attaccato al vino, al gioco, alla filastrocca).
Il tema risorgimentale del Bruscello – che già da anni aveva preso la strada della contaminazione con l’opera – rende sicuramente più plausibile, se non necessario, il ricorso alle atmosfere del melodramma ottocentesco, del quale è permeata la vicenda storica e la coscienza degli uomini che hanno fatto l’unità d’Italia. Per lo stesso motivo, una più estesa coralità rappresenta la cifra forse più appariscente del lavoro. I cori sono costruiti con quei metri, nei quali batte, per così dire, il ritmo del secolo: si pensi ai decasillabi di Va’ pensiero o ai doppi senari di Fratelli d’Italia, ai settenari del 5 Maggio.
Evidente è il ricorso alla formularità: chi parla o canta sa che deve ripetere ciò che dice – al contrario di chi scrive – perché chi ascolta può perdere il filo del discorso. Ripetere è sottolineare, ritornare sentimentalmente sui passi già fatti, sui tormenti soliti, al modo di chi ride, di chi si lamenta, di chi canzona. Ripetere, infine, serve a ricordare.
Sarei felice, comunque, se fossi stato capace di trasmettervi anche una piccola parte di ciò che ho sentito scrivendo.
La reintroduzione, in alcuni luoghi, dell’ottava rima tradizionale (o comunque dell’endecasillabo, che è il verso dei grandi poemi epici e della Commedia dantesca), risponde direttamente alla volontà di sottolineare la psicologia di chi narra, ovvero la prospettiva da cui si guarda alle vicende della storia (ma l’ottonario, popolare e goliardico, è rimasto attaccato al vino, al gioco, alla filastrocca).
Il tema risorgimentale del Bruscello – che già da anni aveva preso la strada della contaminazione con l’opera – rende sicuramente più plausibile, se non necessario, il ricorso alle atmosfere del melodramma ottocentesco, del quale è permeata la vicenda storica e la coscienza degli uomini che hanno fatto l’unità d’Italia. Per lo stesso motivo, una più estesa coralità rappresenta la cifra forse più appariscente del lavoro. I cori sono costruiti con quei metri, nei quali batte, per così dire, il ritmo del secolo: si pensi ai decasillabi di Va’ pensiero o ai doppi senari di Fratelli d’Italia, ai settenari del 5 Maggio.
Evidente è il ricorso alla formularità: chi parla o canta sa che deve ripetere ciò che dice – al contrario di chi scrive – perché chi ascolta può perdere il filo del discorso. Ripetere è sottolineare, ritornare sentimentalmente sui passi già fatti, sui tormenti soliti, al modo di chi ride, di chi si lamenta, di chi canzona. Ripetere, infine, serve a ricordare.
Sarei felice, comunque, se fossi stato capace di trasmettervi anche una piccola parte di ciò che ho sentito scrivendo.
(Raffaele Giannetti)
Postilla in difesa della rima (e del Bruscello)
Mi pare di avvertire – come molti di voi, immagino – il diffuso e sottile disprezzo della nostra epoca per il mondo delle rime, come se queste fossero, da una parte, l’eredità di un mondo vecchio e polveroso e, dall’altra, paradossalmente, il segno di una longeva fanciullezza: vecchi e bambini, insomma. Ma è già stato detto che scrivere poesie senza rima è come giocare a tennis senza rete.
Le rime, inoltre, possono anche essere potentemente trasgressive. Al di là di una facile e scontata immaginazione (tanto per fare un esempio: “alzarsi di notte | con l’ossa tutte rotte”), fanno capolino altre soluzioni: “Non riesci tu a veder come la notte | col giorno che si vien fa sempre a bòtte?”. Oppure (e meglio): “Non riesci tu a veder come la notte | dell’inebriante giorno è come bótte?”. Allora spillatemi un po’ di luce che mi voglio ubriacare!
Le rime, inoltre, possono anche essere potentemente trasgressive. Al di là di una facile e scontata immaginazione (tanto per fare un esempio: “alzarsi di notte | con l’ossa tutte rotte”), fanno capolino altre soluzioni: “Non riesci tu a veder come la notte | col giorno che si vien fa sempre a bòtte?”. Oppure (e meglio): “Non riesci tu a veder come la notte | dell’inebriante giorno è come bótte?”. Allora spillatemi un po’ di luce che mi voglio ubriacare!
Sinossi
Preceduto da una inusuale introduzione, resa necessaria dall’altezza dell’argomento e dalla ricorrenza speciale, l’Atto I si apre sull’Italia del Risorgimento. Siamo nel 1849, l’anno in cui Garibaldi giunge a Montepulciano. L’evento storico costituisce il naturale e veritiero passaggio alla vita poliziana, anch’essa fortemente segnata dagli avvenimenti nazionali: giovani studenti morti in battaglia, animose passioni politiche, cospirazione e repressione. Ma ora si decide il destino del giovane Zelindo Ascani, che assiste all’arrivo di Garibaldi e prende la decisione di seguirlo. L’Atto II descrive la successiva partenza di Zelindo per la Spedizione dei Mille: i saluti alla cara Montepulciano e all’amata Fiorinda, che attenderà fiduciosa il ritorno del suo eroe. È poi l’epopea, la gloria delle battaglie e delle vittorie. Finalmente in patria Zelindo e Fiorinda coronano il loro sogno d’amore con un matrimonio segreto. Ma la vita del soldato è dura: Zelindo è richiamato alle armi e parte per il regolare servizio militare. Ancora battaglie e sangue per l’indipendenza nazionale. L’atto III ritorna nuovamente a Montepulciano, dove Garibaldi è alla ricerca di mezzi e uomini per l’impresa romana.
Tuttavia, dopo il necessario scioglimento degli intrecci sentimentali, i garibaldini partono per Roma… Zelindo morirà in patria all’inizio del nuovo secolo.
Tuttavia, dopo il necessario scioglimento degli intrecci sentimentali, i garibaldini partono per Roma… Zelindo morirà in patria all’inizio del nuovo secolo.